domenica 28 novembre 2010

A Berlusconi piacciono Putin e le puttane (non credo in questo ordine)

Pare si sia fatto una risata. Mentre i capi di stato di mezzo mondo soccombono sotto l'enorme falla nella loro corrispondenza riservata scatenata da Wikileaks, Silvio Berlusconi si fa una risata. E non si tratta di allegria finta (tranne per il suo sorriso, così perenne, così precario) né di simulazione di sicurezza. Il premier italiano ha tutte le ragioni per godersi una giornata di tranquillità, dimenticando per un istante la maggioranza a pezzi, la cui crisi evolve di giorno in giorno. Difatti, se è vero che mal comune mezzo gaudio, è ancor più vero che il gaudio raddoppia quando il mal è comune per gli altri.

Intendiamoci: le rivelazioni del gruppo di Julian Assange sul governo italiano e Berlusconi rimangono di una gravità inedita per un paese del G20: "wild parties" a sfondo sessuale fino a tarda notte (tanto da tarda da sfiancare fin troppo Mr. Berlusconi, si legge nei documenti) e rapporti oscuri con Putin e la Russia, a base di incontri affettuosi e affari più o meno loschi, con l'asse Italia-USA che lentamente si sfalda, trascinando il Belpaese sempre più ad est dell'ex cortina di ferro.

Uno scenario da brivido, certo, al quale gli italiani sono però preparati da moltissimi mesi. Una sorta di riflesso perverso, inverso e contrario, del "vaccino" che secondo Indro Montanelli gli italiani avrebbero sviluppato dopo Berlusconi. Nella mente del grande giornalista, tale vaccino avrebbe protetto l'Italia da un nuovo governo made in B.; pare invece che la stia rendendo incapace di reagire. Succede spesso, nell'epidemologia: d'altronde ogni vaccino contiene parte del virus che si vorrebbe debellare.

Difatti, per quanto la fuga di notizie made in Wikileaks, ovvero "l'undici settembre della diplomazia" per dirla col ministro Frattini, abbia sconquassato l'Occidente diventando un vero proprio evento-spartiacque, dall'Italia sembra tutto già sentito. Tutto quello che traspare dai files è un'ennesima conferma dei costumi "vivaci" e "selvaggi" del magnate-statista, l'uomo che coniuga barzelette, prostitute e affari ormai alla luce del sole, finendo per vantarsene in pubblico. Nulla di nuovo ed eclatante, in grado di porre fine ad una carriera o un governo.

E nemmeno gli stati esteri potranno intervenire a "disturbare" il manovratore italico come in altri casi, poiché sono proprio gli altri governi i veri bersagli e vittime del cablegate. Troppo impegnati nel proprio fronte interno (ed esterno, per quanto riguarda solo i rapporti con gli Stati Uniti), non usciranno dal confine patrio e B. potrà rilassarsi. L'unica eccezione è la questione del rapporto con la Russia, elemento serio e internazionale che ha già fatto intervenire il Segretario di Stato Usa Hillary Clinton.

Tutto sommato gli è andata bene. Il popolo italiano, nella figura del cosiddetto e mostruoso Italiano Medio (IM), lo invidia troppo per scandalizzarsi per cose che farebbero ben volentieri al posto del Premier. È il meccanismo della proiezione, che fa in modo che quando Berlusconi viene "beccato" in flagrante, l'Italiano Medio prova pena per lui: d'altronde è come se ad essere nei guai fossero loro stessi. La versione di loro stessi che, nell'ottica dell'IM, ce l'ha fatta.

Berlusconi ride: piove sul bagnato, quindi ride. Da domani potrà ricominciare a pensare a Fini e a tutti i mistificatori in coro. Ma stasera no, può festeggiare. Per sapere come lo farà, dobbiamo aspettare il prossimo wikileak.

giovedì 25 novembre 2010

Emilio Fede non fa ridere

Opinione comune, quella della presunta comicità del Tg4 di Emilio Fede, che si dipinge come così sfacciatamente fazioso da risultare non credibile e, a tratti, "simpatico". Forse sono migliaia i giovani uomini e giovani donne che, fumatissimi, si guardano il Tg4 col sorriso ebete impresso sul volto. E questo andazzo (il guardare quel programma, non il fumo - che anzi, mi auguro buono) non fa del bene all'informazione in genere e alla percezione della realtà.
Il fatto che Fede spruzzi servilismo da ogni poro lercio di cerone e che la sua supinità sia ormai da Guiness, non è garanzia della sua scarsa credibilità. Osservando i dati d'ascolto dei telegiornali generalisti, si nota come il Tg4 sia uno dei meno visti, assieme a quello di Rai3 (una rete che copre a malapena il 70% del territorio nazionale) e di La7, da poco tempo resuscitata da Mentana. Ma per quanto minoritario, Fede parla quotidianamente a milioni di persone. Sono "pochi" milioni, certo, se paragonati alle cifre del Tg5 o di Minzulpop; ma sono sempre dei fucking milioni.

Milioni di persone.
Che.
Ogni giorno.
Si informano tramite Fede o una delle sue propaggini corporee.
Tra una soap opera e l'altra.
Preparando il ragù per i nipotini.
E temendo una rivoluzione bolscevica.

Il target del giornale fediano è composto da: vecchiette che non cambiano canale perché non hanno voglia; massaie che distrattamente capitano per il 4 e ascoltano le news; i vecchi fumati di cui abbiamo già accennato; berlusconiani brutali, molto brutali, che credono davvero che quello di Fede sia un Tg.

Si parla sempre della Casalinga di Voghera, questo mostro metà massaia metà Cangurotto, e del suo rilevante peso politico. Emilio Fede parla a questo mostro ogni dannato giorno, levigandole il cervello con lentezza, come l'acqua con i ciottoli di fiume. E ogni giorno Emilio Fede ne spara una più grossa, una più violenta. Ieri, per esempio, ha dato dei "rossi" agli studenti in lotta per i loro diritti e futuro e ha consigliato alle forze dell'ordine di pestarli (troppo tardi, già fatto).

Per questo Fede non è né simpatico né innocuo. Se lo fosse, non sarebbe lì.
Anzi, è pericoloso e violento.
Niente da ridere, insomma. Be careful.

lunedì 22 novembre 2010

La lista dei valori del Gabibbo

Ehi, vi ricordate di ScaricaBile, la rivista molestissima? Ora si è fatta un nuovo fucking sito dove trovate tante, tante meraviglie satiriche sponsorizzate dall'illustre Martufello. Recatevici.

(Dopo la lista dei valori di destra e sinistra letti a “Vieni via con me”, “Terra” è felice di presentare questo inedito sui valori di un’altro credo politico-filosofico. Per amore della par condicio.)

Noi Gabibbi amiamo l’Italia e la difendiamo dando cazzotti in faccia ai besughi che fanno i furbi. Per noi Gabibbi ogni cittadino italiano ha pari dignità ed è libero di fare il pubblico in tv, a patto che batta le mani quando si illumina la scritta “applausi”. A noi Gabibbi ci piace la figa e andiamo sempre in giro con una bionda e una mora, per dimostrarlo agli occhi di tutti. Non ci piacciono i soprusi: quando ne scoviamo uno, corriamo subito sul posto e riprendiamo tutto. Se ci riesce, intervistiamo il malfattore. Durante tali interviste, noi Gabibbi muoviamo su e giù la testa, per fare finta d’avere un encefalo.

A nessuno interessa sapere chi è dentro noi, chi ci muove. Può essere un nano o Bin Laden. L’importante è avere una voce buffa e spaccare la faccia ai besughi.

Quando un Gabibbo guarda un lavoratore, si chiede chi glielo fa fare, a lavorare, visto che è molto più facile farsi manovrare da qualcuno che indossa la tua pelle. Besugo! Quando un Gabibbo vede gli uomini fare la guerra, li biasima, perché sa che tutti i conflitti possono essere con un sano “belandi”. O al limite mandando un SMS a “SOS Gabibbo” – e noi subito andiamo, per esempio, in Afganistan.

E i Gabibbi riconoscono che l’ambiente è davvero la nostra casa, che la Terra va amata e rispettata. Con tecnologie nuove e pulite, energie rinnovabili. Rinunciando all’automobile, come fa 100% Brumotti. Concludendo, ogni Gabibbo lavora per un futuro migliore, un futuro dove Capitan Ventosa dirige la DIA e Stefania Petix è costretta ad ingoiare il suo bassotto.

Ma soprattutto, un bravo Gabibbo se ne batte il cazzo di tutto, perché sa che a fine giornata, viene buttato in uno sgabuzzino e bella lì. Fino alla prossima besugata, s’intende.

mercoledì 17 novembre 2010

Da bunker a bunker

Fra le molte cose dette da Saviano nell'ultima, contestatissima, puntata di Vieni via con me , c'è la questione dei bunker dei malavitosi. Veri propri nonluoghi ("Queste tane, questa infelicità che si struttura architettonicamente" come li ha definiti l'autore di Gomorra) dove il potere mafioso esprime tutta la sua capacità di comando. Si rinuncia alla presenza fisica divenendo degli spettri, degli invisibili, senza per questo perdere capacità d'influenza e dominio. Anzi, guadagnando in mistero e - agli occhi degli affiliati ai clan - fascino.

Al netto della polemica su Lega e 'ndrangheta che ha monopolizzato il post-show (come se l'intero monologo di Saviano fosse stato un j'accuse contro Bossi e i suoi - nulla di più falso, dato che la Lega Nord viene nominata solo una volta), sentire Roberto Saviano descrivere la vita dei bunker, mostrando immagini e filmati sul tema inediti al pubblico mainstream, mi ha molto colpito. Mentre sullo sfondo passavano le immagini dei covi di Platì, del bunker costruito in aperta campagna sfruttando un insospettabile muretto a secco, è sembrato che alla cronaca si unisse l'esperienza personale di chi da anni è costretto a vivere in un bunker, per motivi diversi e opposti rispetto a quello dei capi clan.

Il risultato è stata una narrazione molto emozionale, con un forte contenuto morale.

Mi sono sempre chiesto: come fa un boss a vivere dieci anni, quindici anni col regime di carcere duro, il 41bis. Come fa? Com'è possibile? Poi mi viene in mente che prima di essere arrestato e finire al carcere duro, loro si mettono in galera da soli dieci anni prima. Nei bunker. Queste tane, questa infelicità che si struttura quasi architettonicamente, fatta di rinuncia, di un potere solo di testa.
Tra le righe, si scorge una forte componente emotiva: a parlare di bunker, di persone "costrette" a rinunciare "anche alla luce del sole" per perseguire i propri loschi interessi, è un giovane giornalista che a sua volta è costretto nella stessa, disumana condizione. La differenza (abissale) sta nei motivi della privazione: Roberto Saviano è stato condannato a morte dal clan camorristico dei Casalesi, da boss che con ogni probabilità sono rinchiusi in un bunker, per preservare il proprio potere dalla violenza dello scontro mafioso.

Quando ci si nasconde in questo modo si è disposti pur di mantenere il proprio potere a rinunciare alla proipria esistenza, alla propria anima. (…) Gente che ha già smesso di vivere da trent'anni, nei bunker

Questa parte del monologo di Saviano è straordinaria per la componente umana che la caratteriza. Non è solo cronaca, informazione basata su inchieste giudiziarie e giornalistiche: c'è un additivo vitale nelle sue parole. Saviano, parlando dei bunker dei malavitosi, ha sfiorato la sfera personale. Per lui il bunker è realtà dal 2008. Certo, non si tratta di cunicoli comunicanti con forni da pizzaioli, né tane da topi come quelle mostrate durante la trasmissione, ma la condizione è simile. "Mi sono sempre chiesto: come fa un boss a vivere dieci anni, quindici anni col regime di carcere duro, il 41bis. Come fa? Com'è possibile?"

Il sottotesto della questione sembra essere:

come fate voi a decidere spontaneamente di rinunciare alla vita, alla luce del sole, per rinchiudervi in una gretta prigione di solitudine?

Una questione pesante, che acquista ancor più peso se a sollevarla è un uomo che a quella condizione è sì costretto, ma non per sua volontà. Saviano conosce il bunker, sa come le sue enormi restrizioni possono ingabbiare un'esistenza e farebbe di tutto per non doverlo più vivere. Per riassaggiare la vita com'era prima.

Ma non può, non gli è permesso. E il divieto viene da uomini che quel bunker lo scelgono e lo abbracciano come "punto d'arrivo" di una carriera "luminosa" nelle organizzazioni mafiose.

Non c'è libertà se c'è mafia: questo lo sappiamo da sempre. Ma da lunedì abbiamo una nuova prova.

lunedì 15 novembre 2010

Ode a Maurizio Milani

Un pezzo di quest'estate dedicato a un grande.

Maurizio Milani vive in un mondo parallelo. Visitarlo è un privilegio unico per chi, stolto, finisce sempre per associare alla pianura padana la nebbia e i leghisti che la respirano. Dal suo paese d'origine – Codogno, di cui è cittadino onorario – apre talvolta la porta a chi volesse fare un giretto in una landa densa di feste dell'Unità (r.i.p.), tori imbizzarriti e qualche Giuliano Rana inspiegabilmente di passaggio. Dopo la sua ultima fatica letteraria, Mi sono iscritto nel registro degli indagati (Rizzoli, 2010) c'è chi ha gridato al genio, sbagliando. Milani, è semplicemente uno scrittore. Uno scrittore vero, dotato di scenografie ampie e complete quanto impensabili; una logica che in un mondo a scatafascio come il nostro si rivela ferrea, a prova di bomba; e un linguaggio unico che fa della schizofrenia e del rifiuto della piatta realtà il suo punto di forza.

Fino a due anni fa lo si vedeva ogni settimana a Che tempo che fa, mentre cercava di guidare la caravella di Fazio verso mari più aperti, liberi. Mari dove il mestiere del latrinaio, per esempio, assume una connotazione eroica. O dove pesare cani è una routine nobile, una tradizione antica al pari del preparare il presepe a Natale. Ora non più: troppo forte, quasi pornografico per un pubblico abituato all'alimentazione comica a sondino by Gino&Michele.

La domanda, a questo punto, è una sola: la sua cancellazione è stata un peccato oppure Milani è un animale comico che brilla solo nelle nicchie, al riparo da un pubblico che anche minimamente dedichi attenzione al cartellone luminoso “APPLAUSI”? Basta ripescare i video dei suoi trascorsi da stand-up comedian (Youtube ne è sufficientemente fornito) per notare che ogni suo “pezzo” è una finestrella nel suo mondo. Un mondo dannatamente reale, bucolico e folle, che rischia d'inquinarsi a contatto col prime time. Dirlo potrebbe sembrare come arrendersi al “sistema” ma forse è meglio che sia andata così: che Milani torni a coltivare il suo piccolo orto, mandando al diavolo la grande distribuzione. I tentativi di far ridere un pubblico mainstream lo stavano lentamente spegnendo.

D'altronde, che ne sanno loro della vita privata di Zamorano? O del fatto che in amore le donne vogliono tribolare? Hanno forse mai pesato dei cani, a caso, girovagando per le strade? Non credo proprio e, sinceramente, non sanno cosa si perdono.

domenica 14 novembre 2010

Webarmaggedon: e se non succedesse niente?

ll web, come lo intendiamo noi, esiste da circa quindici anni: un’inezia, se si pensa a quanto ha già cambiato la nostra vita. Dal 2001 circa si parla invece di Internet 2.0, la nuova Information Age, dove l’utente diventa prosumer, ossia contemporaneamente produttore e consumatore di dati e informazioni. La frenesia che accompagna lo sviluppo della Rete provoca, oltreché un progresso veloce e confuso, anche una certa paranoia apocalittica che colpisce soprattutto i geek, gli amanti delle new technology.

Un’apocalisse al dì. Questo senso di catastrofe imminente alberga il web da sempre, spingendolo a rinnovarsi e distruggere per non essere distrutti. È quindi una pulsione positiva e costruttiva, che però presenta un leggero effetto collaterale, una precarietà percepita, causata dai rumors su come tutto un giorno diverrà obsoleto e sparirà.

Qualche esempio: solo nelle ultime settimane gli esperti del web hanno suonato un altissimo numero di De profundis. Ha iniziato Wired USA predicendo la prossima morte del web, inteso proprio come www, la rete in cui si naviga da metà anni Novanta; e annunciando la nascita di una nuova visione del web, dominata dalle app e dalle altre tecnologie sviluppate con il boom del mobile.

Poi è toccato a TechCrunch, che annunciando la possibile nascita di un client per e-mail targato Facebook (il famigerato e misterioso Titan Project), lo ha già soprannominato “Gmail Killer”, preludendo ad una vicina morte e rinascita della posta elettronica per come la conosciamo da anni.

Infine, qualche giorno fa, sempre il citato megasito americano ha decretata la fine delle telefonate, superate e annichilite dalla concorrenza dei new media e dal fuoco amico degli SMS.

Avvoltoi 2.0 Certo, è bene precisare che TechCrunch è una sorta di Bibbia della tecnologia e che l’articolo di Wired, al netto del tono da Armageddon, contiene riflessioni interessanti, e quindi sono da tenere in considerazione. Ma c’è il rischio che il loro continuo volteggiare da avvoltoi attorno a carcasse del web (presunte o reali), generi poi delusione e una leggera rabbia. Quando, magari fra qualche anno, continueremo a telefonare, usare Gmail e a digitare il www, qualcuno potrebbe ricordarsi degli oracoli passati e chiedersi: “ehi, ma alla fine non è successo niente?”, sentendosi leggermente preso per i fondelli.

Chi vivrà vedrà. Intanto, cerchiamo di mantenere la calma e di concentrarci sulle apocalissi reali e vicine.

giovedì 11 novembre 2010

Cyber Vatican

Ho un’idea per modernizzare la Chiesa: sostituire la fumata nera e la fumata bianca del conclave con scritte al neon “FAIL” e “WIN”.

Mi farei suora, checazzo.

mercoledì 10 novembre 2010

Saviano, il "papa straniero" e i baffetti di Luca Telese

Viviamo in un paese unico, in cui una persona non fa in tempo a raggiungere un alto livello professionale che subito viene cantata dalle sirene dell'eroismo. Gli italiani non cercano politici o amministratori capaci ma dei Mandrake del tutto e subito: i problemi sono tanti e urgenti, le soluzioni razionali a lunga durata snobbate. Si preferisce aspettare al varco l'Uomo della Provvidenza di turno (reale o meno), per scaricargli addosso quel macigno di responsabilità normalmente collettive e sentirsi subito leggeri, fuori causa. Un procedimento facile, non c'è che dire, ma non molto fruttuoso – per capirlo, basta guardarsi attorno.

Questo eroismo di massa colpisce anche Roberto Saviano, scrittore e giornalista che per il suo Gomorra rischia la vita, minacciata dai casalesi. In un altro paese, sarebbe un intelletuale ascoltato, rispettato e temuto; nel Belpaese invece, no. O meglio, non solo. Al di là delle critiche de il Giornale e Libero (di cui abbiamo già parlato qui), lo scandalo è che sempre più persone aspettano e sperano un suo impegno politico.

“Candidati!”, “Cambia questo paese!”, gli supplicano, sentendoci già più leggeri ed esterni al problema.

Tale discussione schizofrenica è approdata oggi anche nelle pagine del Fatto Quotidiano, dove, due giorni dopo il successo del programma Vieni via con me dello scrittore campano e Fabio Fazio, Sandra Amurri e Luca Telese dicono la loro sul suo possibile futuro. La prima, sperando nella trasformazione da scrittore in politico; il secondo rifiutandola e criticando alcuni aspetti della trasmissione. La sublime tenzone ha del ridicolo: non solo per i baffetti di Telese, ma per quanto il problema sia completamente travisato. La fallacia sta tutta nel volere infondere in Saviano l'aura da politico, come fa la Amurri, che propone il duo Vendola-Saviano per vincere Berlusconi; o come fa Barbareschi, sempre nel Fatto di oggi (“il suo populismo è uguale, speculare, a quello di Berlusconi”).

E mai che in tutto questo, sia stata chiesta l'opinione dell'interessato, Saviano. Basterebbe una domanda: “Si vuole candidare?”, a cui seguirebbe la prevedibile risposta: “No, grazie”. Ma tale ragionamento, in un paese sempre più simile ad un Bar Sport con 60 milioni di clienti borbottanti, non viene tollerato. L'opinionismo di massa, ben più grave del famigerato qualunquismo, governa tv e stampa, crea mondi irreali, legittimandoli giornalisticamente. In breve tempo, la realtà virtuale del Saviano-forse-diventa-politico si sostituisce a quella originale, dimenticata e ormai noiosa. Che una persona si limiti a dire la sua opinione con successo, non è previsto tra le mura italiche. Se entri nell'ambiente, devi far parte dell'ambiente – “altrimenti che ci stai a fa'?”.

È il succo del pensiero amurriano, per esempio, che parlando del ticket Vendola-Saviano, si commuove un pochino:

Seppure le loro storie siano diversissime, in comune hanno molto. Soprattutto quelle capacità “narrative” di smuovere le coscienze con la forza delle parole. (…) Due facce di una medaglia di nuovo conio per conquistare il futuro. È così pazzesco sognarlo?

No, Sandra, è pazzesco solo pensarlo. Vendola è un politico, Saviano uno scrittore. Che quest'ultimo poi sia bravo, impegnato e preziosissimo, tanto meglio per la sua carriera e la sua vita (che ci auguriamo duri altri cent'anni, alla faccia della Camorra).

Ecco quanto siamo caduti in basso: la perenne ricerca dell'Uomo Giusto, del “papa straniero” che arriva in città e porta gioia e caramelle a tutti, non è dissimile dal discorso del berlusconiano doc: “Silvio mi piace perché non è un politico, è un uomo del fare”. Il fatto che la politica si possa alimentare da sola, sfornando politici credibili e onesti, in Italia è pura fantascienza, per vari motivi: l'andazzo della Prima Repubblica e le sue ruberie; le leggi ad personam, gli inciuci e le cricche della sedicente Seconda Repubblica; e soprattutto la terribile Sindrome del Tassista Romano.

Tale patologia (STR) prende il nome dagli allegri tassisti della Capitale, sempre così sicuri delle loro opinioni e così vicini dal Pensiero Politico Totale. Il discorso tipo del malato di STR comincia con affermazioni: “Secondo me basterebbe poco per mettere le cose apposto”, a cui seguono, a seconda dell'orientamento politico, progetti per costruire nuovi lager o di soviet fucsia governati dal volemmosebene.

La nostra penisola è malata di false speranze, troppo lontano dalla vera politica che è realismo e programmi. La vera rivoluzione sarebbe mandare al diavolo la ricerca del “papa straniero” (mi dispiace, Ezio Mauro) e valorizzare i bravi “vescovi locali” che albergano quasi clandestinamente molti partiti. Ma è pensiero razionale, terra-terra: vuoi mettere continuare a masturbarsi aspettando la venuta del Messia o, ancora meglio, eleggendone uno ad ogni ventennio, per poi applicarlo a qualche palo, voltando supersonicamente gabbana?

“Beato il popolo che non ha bisogno di eroi”, diceva Bertold Brecht, riassumendo senza volerlo la Storia d'Italia in nove, fottutissime, parole. L'Italia non solo macina un falso eroe dopo l'altro, ma quando ne trova uno, lo mette subito in difficoltà, vestendolo di cariche assurde. È successo con l'autore di Gomorra, con Falcone (come spiegato da Saviano stesso), succede spesso con Marco Travaglio (il cui unico “torto” è quello di fare il giornalista), con Di Pietro (che ha scovato i topi della Prima Repubblica), Beppe Grillo e così via. Succederà ancora: magari con Marco Carta o il pupazzo Uan.

L'idea che un bravo professionista possa continuare a fare il suo lavoro fin quando cazzo vuole, continuando ad esercitare il suo pensiero, sembra non passare. Se Gesù tornasse sulla Terra e volesse predicare nell'Italia del 2000, sarebbe costretto a recarsi dal notaio per fondare un suo partito, altrimenti nessuno lo ascolterebbe. E, ne siamo certi, il Cristo preferirebbe ritornare in croce.

Così, solo per farci un meritato dispetto.

martedì 9 novembre 2010

Verranno a chiederci del nostro capannone

Io abito in Veneto, dove ogni autunno piove in modo brutale. Se non avessimo il vino e lo spritz, registreremmo percentuali di suicidi scandinave.
Quest’anno le piogge hanno allagato paesi interi trasformandoci in una provincia periferica del Bangladesh, solo con più gondole.
I veneti, però, sembrano non capire.
Acclamano Zaia e la sua crociata alle tasse, forse rimpiangono Galan, che “quando c’era lui le cose funzionavano”. Eppure i numeri sono spietati, raccontano una realtà feroce. Leggo sul Fatto che dal 1950 ad oggi, la superficie urbanizzata della regione è aumentata del 324%

Si, avete letto bene: 324%.

Nello stesso arco di tempo la popolazione è aumentata, certo, ma del 32%.

È l’asfalto a non andare d’accordo con la pioggia; è la cementificazione a rendere fragile e friabile un terreno paludoso come il nostro. Queste precipitazioni non sono nulla di eccezionale, non stiamo di certo parlando del fottuto diluvio universale.
Eppure i veneti non capiscono.

Ci ritroveremmo tutti sott’acqua, a ricordare quanto bello e quadrato era il nostro capannone.

lunedì 8 novembre 2010

Youporn, l'Oracolo

Pubblicato sul settimanale "3D" allegato a Terra

Tutto torna. C'è un qualcosa di morboso che regge le fila di queste elezioni di mid-term americane. Cominciamo dal recente passato, il trionfo di Obama alle presidenziali del 2008. Quella vittoria storica è passata agli annali per svariati motivi (il post-Bush&Cheney, il riscatto dei liberal ecc.) ma soprattutto per il colore della pelle dell'eletto. Marrone, come quella degli schiavi negri di un ieri mai abbastanza distante; come quella di Martin Luther King e del suo dream; come quella di Valentino.
Il vittorioso Obama ha visto però il suo consenso sbriciolarsi in due anni sotto la morsa della crisi e delle tanto contestate riforme.

Il simbolo del dissenso anti-Barack? Sarah Palin dall'Alaska, una piacente signora con poche idee ma con il fascino tipico delle donne di mezza età che non disdegnano il sybian. Una milf, se volessimo taggarla nel video porno che è la nostra vita. Studiando i dati Google Analytics, si nota come il tag black dominasse il web di due anni fa, preludendo alla vittoria di Obama. In questi ultimi mesi, invece, abbiamo assistito alla riscossa della tag milf, croce e delizia di ogni smanettone con le mani sudate.

Tutto torna, o, per dirla con le Sacre Scritture, tutto è già scritto. Alle presidenza del 2012, lasciate perdere Glenn Beck, la Msnbc e la cerchia di sondaggisti a gettone. Setacciate il web, telefonate a quell'amico segaiolo delle scuole media, chiedetegli delle dritte, navigate tra le perversioni sessuali dei cittadini. Saprete il nome del vincitore prima di Drudge Report — e saprete quello vero.


Una profezia per il 2012? Andrà molto la tag midjet. Peccato che Gary Coleman ci abbia lasciato.

lunedì 1 novembre 2010

Lega Nord, una valida alternativa all'LSD

Pubblicato sull'inserto "3D" di Terra

Negli anni Sessanta i giovani ascoltavano la musica rock e immergevano la loro lingua nell'LSD per sballarsi ed estraniarsi dal mondo reale. Mai giovani sixties erano stupidi, terribilmente stupidi. Nessuna droga può infatti superare lo squilibrio logico che comporta il seguire il dibattito politico sulla guerra in Afganistan. Infatti, ogni volta che un soldato perisce in quella terra così rigonfia d'oppio, qui in Italia fioriscono mantra bellici, che subito rimbalzano su giornali e tv, causando spesso spiacevoli episodi come il terribile “editoriale di Adriano Sofri”, sorta di sanguisuga paracula in grado di non dire nulla – ma con grande charme.

Ebbene, in questi giorni la sinistra (impersonata scherzosamente dal Partito Democratico) ha, nell'ordine: gongolato all'idea di dotare gli aerei di bombe, missili e altre chincaglierie tipiche da missione di pace (Fassino); e disertato la manifestazione della FIOM a Roma.

Nel frattempo, labirintica, la Lega si è chiesta a cosa serve stare in Afghanistan ed è inspiegabilmente adorata dagli operai. Ed è qui che entrano in gioco le droghe lisergiche, di cui prima: ascoltare un leghista schierarsi contro la guerra è allucinante e allucinogeno, come visitare universi paralleli alternativi al nostro. Posti dove Stairway to heaven risuona dai dischi di Drupi, Sasha Grey è papa con il nome di Analo I, e Calderoli si avvicina al pacifiscmo.

Il rischio, attenzione, è comunque enorme: non si hanno ancora studi sugli effetti a lungo termine di queste discussioni. Pare che un giovane varesotto pacifista, non sia più uscito dall'ultimo trip e vaghi per le campagne falsificando voti per Cota.