Polenta e benzene
domenica 28 novembre 2010
A Berlusconi piacciono Putin e le puttane (non credo in questo ordine)
Intendiamoci: le rivelazioni del gruppo di Julian Assange sul governo italiano e Berlusconi rimangono di una gravità inedita per un paese del G20: "wild parties" a sfondo sessuale fino a tarda notte (tanto da tarda da sfiancare fin troppo Mr. Berlusconi, si legge nei documenti) e rapporti oscuri con Putin e la Russia, a base di incontri affettuosi e affari più o meno loschi, con l'asse Italia-USA che lentamente si sfalda, trascinando il Belpaese sempre più ad est dell'ex cortina di ferro.
Uno scenario da brivido, certo, al quale gli italiani sono però preparati da moltissimi mesi. Una sorta di riflesso perverso, inverso e contrario, del "vaccino" che secondo Indro Montanelli gli italiani avrebbero sviluppato dopo Berlusconi. Nella mente del grande giornalista, tale vaccino avrebbe protetto l'Italia da un nuovo governo made in B.; pare invece che la stia rendendo incapace di reagire. Succede spesso, nell'epidemologia: d'altronde ogni vaccino contiene parte del virus che si vorrebbe debellare.
Difatti, per quanto la fuga di notizie made in Wikileaks, ovvero "l'undici settembre della diplomazia" per dirla col ministro Frattini, abbia sconquassato l'Occidente diventando un vero proprio evento-spartiacque, dall'Italia sembra tutto già sentito. Tutto quello che traspare dai files è un'ennesima conferma dei costumi "vivaci" e "selvaggi" del magnate-statista, l'uomo che coniuga barzelette, prostitute e affari ormai alla luce del sole, finendo per vantarsene in pubblico. Nulla di nuovo ed eclatante, in grado di porre fine ad una carriera o un governo.
E nemmeno gli stati esteri potranno intervenire a "disturbare" il manovratore italico come in altri casi, poiché sono proprio gli altri governi i veri bersagli e vittime del cablegate. Troppo impegnati nel proprio fronte interno (ed esterno, per quanto riguarda solo i rapporti con gli Stati Uniti), non usciranno dal confine patrio e B. potrà rilassarsi. L'unica eccezione è la questione del rapporto con la Russia, elemento serio e internazionale che ha già fatto intervenire il Segretario di Stato Usa Hillary Clinton.
Tutto sommato gli è andata bene. Il popolo italiano, nella figura del cosiddetto e mostruoso Italiano Medio (IM), lo invidia troppo per scandalizzarsi per cose che farebbero ben volentieri al posto del Premier. È il meccanismo della proiezione, che fa in modo che quando Berlusconi viene "beccato" in flagrante, l'Italiano Medio prova pena per lui: d'altronde è come se ad essere nei guai fossero loro stessi. La versione di loro stessi che, nell'ottica dell'IM, ce l'ha fatta.
Berlusconi ride: piove sul bagnato, quindi ride. Da domani potrà ricominciare a pensare a Fini e a tutti i mistificatori in coro. Ma stasera no, può festeggiare. Per sapere come lo farà, dobbiamo aspettare il prossimo wikileak.
giovedì 25 novembre 2010
Emilio Fede non fa ridere
Il fatto che Fede spruzzi servilismo da ogni poro lercio di cerone e che la sua supinità sia ormai da Guiness, non è garanzia della sua scarsa credibilità. Osservando i dati d'ascolto dei telegiornali generalisti, si nota come il Tg4 sia uno dei meno visti, assieme a quello di Rai3 (una rete che copre a malapena il 70% del territorio nazionale) e di La7, da poco tempo resuscitata da Mentana. Ma per quanto minoritario, Fede parla quotidianamente a milioni di persone. Sono "pochi" milioni, certo, se paragonati alle cifre del Tg5 o di Minzulpop; ma sono sempre dei fucking milioni.
Milioni di persone.
Che.
Ogni giorno.
Si informano tramite Fede o una delle sue propaggini corporee.
Tra una soap opera e l'altra.
Preparando il ragù per i nipotini.
E temendo una rivoluzione bolscevica.
Il target del giornale fediano è composto da: vecchiette che non cambiano canale perché non hanno voglia; massaie che distrattamente capitano per il 4 e ascoltano le news; i vecchi fumati di cui abbiamo già accennato; berlusconiani brutali, molto brutali, che credono davvero che quello di Fede sia un Tg.
Si parla sempre della Casalinga di Voghera, questo mostro metà massaia metà Cangurotto, e del suo rilevante peso politico. Emilio Fede parla a questo mostro ogni dannato giorno, levigandole il cervello con lentezza, come l'acqua con i ciottoli di fiume. E ogni giorno Emilio Fede ne spara una più grossa, una più violenta. Ieri, per esempio, ha dato dei "rossi" agli studenti in lotta per i loro diritti e futuro e ha consigliato alle forze dell'ordine di pestarli (troppo tardi, già fatto).
Per questo Fede non è né simpatico né innocuo. Se lo fosse, non sarebbe lì.
Anzi, è pericoloso e violento.
Niente da ridere, insomma. Be careful.
lunedì 22 novembre 2010
La lista dei valori del Gabibbo
(Dopo la lista dei valori di destra e sinistra letti a “Vieni via con me”, “Terra” è felice di presentare questo inedito sui valori di un’altro credo politico-filosofico. Per amore della par condicio.)
Noi Gabibbi amiamo l’Italia e la difendiamo dando cazzotti in faccia ai besughi che fanno i furbi. Per noi Gabibbi ogni cittadino italiano ha pari dignità ed è libero di fare il pubblico in tv, a patto che batta le mani quando si illumina la scritta “applausi”. A noi Gabibbi ci piace la figa e andiamo sempre in giro con una bionda e una mora, per dimostrarlo agli occhi di tutti. Non ci piacciono i soprusi: quando ne scoviamo uno, corriamo subito sul posto e riprendiamo tutto. Se ci riesce, intervistiamo il malfattore. Durante tali interviste, noi Gabibbi muoviamo su e giù la testa, per fare finta d’avere un encefalo.
A nessuno interessa sapere chi è dentro noi, chi ci muove. Può essere un nano o Bin Laden. L’importante è avere una voce buffa e spaccare la faccia ai besughi.
Quando un Gabibbo guarda un lavoratore, si chiede chi glielo fa fare, a lavorare, visto che è molto più facile farsi manovrare da qualcuno che indossa la tua pelle. Besugo! Quando un Gabibbo vede gli uomini fare la guerra, li biasima, perché sa che tutti i conflitti possono essere con un sano “belandi”. O al limite mandando un SMS a “SOS Gabibbo” – e noi subito andiamo, per esempio, in Afganistan.
E i Gabibbi riconoscono che l’ambiente è davvero la nostra casa, che la Terra va amata e rispettata. Con tecnologie nuove e pulite, energie rinnovabili. Rinunciando all’automobile, come fa 100% Brumotti. Concludendo, ogni Gabibbo lavora per un futuro migliore, un futuro dove Capitan Ventosa dirige la DIA e Stefania Petix è costretta ad ingoiare il suo bassotto.
Ma soprattutto, un bravo Gabibbo se ne batte il cazzo di tutto, perché sa che a fine giornata, viene buttato in uno sgabuzzino e bella lì. Fino alla prossima besugata, s’intende.
mercoledì 17 novembre 2010
Da bunker a bunker
Al netto della polemica su Lega e 'ndrangheta che ha monopolizzato il post-show (come se l'intero monologo di Saviano fosse stato un j'accuse contro Bossi e i suoi - nulla di più falso, dato che la Lega Nord viene nominata solo una volta), sentire Roberto Saviano descrivere la vita dei bunker, mostrando immagini e filmati sul tema inediti al pubblico mainstream, mi ha molto colpito. Mentre sullo sfondo passavano le immagini dei covi di Platì, del bunker costruito in aperta campagna sfruttando un insospettabile muretto a secco, è sembrato che alla cronaca si unisse l'esperienza personale di chi da anni è costretto a vivere in un bunker, per motivi diversi e opposti rispetto a quello dei capi clan.
Il risultato è stata una narrazione molto emozionale, con un forte contenuto morale.
Mi sono sempre chiesto: come fa un boss a vivere dieci anni, quindici anni col regime di carcere duro, il 41bis. Come fa? Com'è possibile? Poi mi viene in mente che prima di essere arrestato e finire al carcere duro, loro si mettono in galera da soli dieci anni prima. Nei bunker. Queste tane, questa infelicità che si struttura quasi architettonicamente, fatta di rinuncia, di un potere solo di testa.Tra le righe, si scorge una forte componente emotiva: a parlare di bunker, di persone "costrette" a rinunciare "anche alla luce del sole" per perseguire i propri loschi interessi, è un giovane giornalista che a sua volta è costretto nella stessa, disumana condizione. La differenza (abissale) sta nei motivi della privazione: Roberto Saviano è stato condannato a morte dal clan camorristico dei Casalesi, da boss che con ogni probabilità sono rinchiusi in un bunker, per preservare il proprio potere dalla violenza dello scontro mafioso.
Quando ci si nasconde in questo modo si è disposti pur di mantenere il proprio potere a rinunciare alla proipria esistenza, alla propria anima. (…) Gente che ha già smesso di vivere da trent'anni, nei bunker
Questa parte del monologo di Saviano è straordinaria per la componente umana che la caratteriza. Non è solo cronaca, informazione basata su inchieste giudiziarie e giornalistiche: c'è un additivo vitale nelle sue parole. Saviano, parlando dei bunker dei malavitosi, ha sfiorato la sfera personale. Per lui il bunker è realtà dal 2008. Certo, non si tratta di cunicoli comunicanti con forni da pizzaioli, né tane da topi come quelle mostrate durante la trasmissione, ma la condizione è simile. "Mi sono sempre chiesto: come fa un boss a vivere dieci anni, quindici anni col regime di carcere duro, il 41bis. Come fa? Com'è possibile?"
Il sottotesto della questione sembra essere:
come fate voi a decidere spontaneamente di rinunciare alla vita, alla luce del sole, per rinchiudervi in una gretta prigione di solitudine?
Una questione pesante, che acquista ancor più peso se a sollevarla è un uomo che a quella condizione è sì costretto, ma non per sua volontà. Saviano conosce il bunker, sa come le sue enormi restrizioni possono ingabbiare un'esistenza e farebbe di tutto per non doverlo più vivere. Per riassaggiare la vita com'era prima.
Ma non può, non gli è permesso. E il divieto viene da uomini che quel bunker lo scelgono e lo abbracciano come "punto d'arrivo" di una carriera "luminosa" nelle organizzazioni mafiose.
Non c'è libertà se c'è mafia: questo lo sappiamo da sempre. Ma da lunedì abbiamo una nuova prova.
lunedì 15 novembre 2010
Ode a Maurizio Milani
Un pezzo di quest'estate dedicato a un grande.
Maurizio Milani vive in un mondo parallelo. Visitarlo è un privilegio unico per chi, stolto, finisce sempre per associare alla pianura padana la nebbia e i leghisti che la respirano. Dal suo paese d'origine – Codogno, di cui è cittadino onorario – apre talvolta la porta a chi volesse fare un giretto in una landa densa di feste dell'Unità (r.i.p.), tori imbizzarriti e qualche Giuliano Rana inspiegabilmente di passaggio. Dopo la sua ultima fatica letteraria, Mi sono iscritto nel registro degli indagati (Rizzoli, 2010) c'è chi ha gridato al genio, sbagliando. Milani, è semplicemente uno scrittore. Uno scrittore vero, dotato di scenografie ampie e complete quanto impensabili; una logica che in un mondo a scatafascio come il nostro si rivela ferrea, a prova di bomba; e un linguaggio unico che fa della schizofrenia e del rifiuto della piatta realtà il suo punto di forza.
Fino a due anni fa lo si vedeva ogni settimana a Che tempo che fa, mentre cercava di guidare la caravella di Fazio verso mari più aperti, liberi. Mari dove il mestiere del latrinaio, per esempio, assume una connotazione eroica. O dove pesare cani è una routine nobile, una tradizione antica al pari del preparare il presepe a Natale. Ora non più: troppo forte, quasi pornografico per un pubblico abituato all'alimentazione comica a sondino by Gino&Michele.
La domanda, a questo punto, è una sola: la sua cancellazione è stata un peccato oppure Milani è un animale comico che brilla solo nelle nicchie, al riparo da un pubblico che anche minimamente dedichi attenzione al cartellone luminoso “APPLAUSI”? Basta ripescare i video dei suoi trascorsi da stand-up comedian (Youtube ne è sufficientemente fornito) per notare che ogni suo “pezzo” è una finestrella nel suo mondo. Un mondo dannatamente reale, bucolico e folle, che rischia d'inquinarsi a contatto col prime time. Dirlo potrebbe sembrare come arrendersi al “sistema” ma forse è meglio che sia andata così: che Milani torni a coltivare il suo piccolo orto, mandando al diavolo la grande distribuzione. I tentativi di far ridere un pubblico mainstream lo stavano lentamente spegnendo.
D'altronde, che ne sanno loro della vita privata di Zamorano? O del fatto che in amore le donne vogliono tribolare? Hanno forse mai pesato dei cani, a caso, girovagando per le strade? Non credo proprio e, sinceramente, non sanno cosa si perdono.
domenica 14 novembre 2010
Webarmaggedon: e se non succedesse niente?
Un’apocalisse al dì. Questo senso di catastrofe imminente alberga il web da sempre, spingendolo a rinnovarsi e distruggere per non essere distrutti. È quindi una pulsione positiva e costruttiva, che però presenta un leggero effetto collaterale, una precarietà percepita, causata dai rumors su come tutto un giorno diverrà obsoleto e sparirà.
Qualche esempio: solo nelle ultime settimane gli esperti del web hanno suonato un altissimo numero di De profundis. Ha iniziato Wired USA predicendo la prossima morte del web, inteso proprio come www, la rete in cui si naviga da metà anni Novanta; e annunciando la nascita di una nuova visione del web, dominata dalle app e dalle altre tecnologie sviluppate con il boom del mobile.
Poi è toccato a TechCrunch, che annunciando la possibile nascita di un client per e-mail targato Facebook (il famigerato e misterioso Titan Project), lo ha già soprannominato “Gmail Killer”, preludendo ad una vicina morte e rinascita della posta elettronica per come la conosciamo da anni.
Infine, qualche giorno fa, sempre il citato megasito americano ha decretata la fine delle telefonate, superate e annichilite dalla concorrenza dei new media e dal fuoco amico degli SMS.
Avvoltoi 2.0 Certo, è bene precisare che TechCrunch è una sorta di Bibbia della tecnologia e che l’articolo di Wired, al netto del tono da Armageddon, contiene riflessioni interessanti, e quindi sono da tenere in considerazione. Ma c’è il rischio che il loro continuo volteggiare da avvoltoi attorno a carcasse del web (presunte o reali), generi poi delusione e una leggera rabbia. Quando, magari fra qualche anno, continueremo a telefonare, usare Gmail e a digitare il www, qualcuno potrebbe ricordarsi degli oracoli passati e chiedersi: “ehi, ma alla fine non è successo niente?”, sentendosi leggermente preso per i fondelli.
Chi vivrà vedrà. Intanto, cerchiamo di mantenere la calma e di concentrarci sulle apocalissi reali e vicine.