lunedì 10 maggio 2010

Out of the blue.

Un mio raccontino uscito su Out of the blue, il magazine che parla a vanvera di cose che non hanno senso.

Grandi ustionati

L'idea di inscatolare il sole mi perseguitava da un po'.

L'idea di prendere quella sorta di testicolo fiammeggiante che è sopra di noi mi sembrava sana. Ero d'altronde già munito di tutto l'occorrente: retino ignifugo, un richiamo per stelle, del domopak.

Da un paio d'anni, quotidianamente, mi stavo allenando con le polpette incandescenti. Sono diventato talmente bravo che solo raramente mi ritrovo nel reparto Grandi Ustionati.
(C'è anche il Piccoli Ustionati, dove i bambini possono passare ore gioiose tra delle palline colorate di nichel fuso).

Così ieri sono uscito di casa di buon'ora e sono salito nella collina del Gologongone.
Era l'alba e la mia preda usciva lentamente dalla sua tana. Essendo primavera, era un po' intontita dagli ormoni stagionali, che la spingevano a pensare ad una supernova in posizioni succinte.

Con un balzo notevole guadagnai la postazione perfetta, nascosto dietro delle siepi complici. La preda era lì, pallida ma maestosa; si muoveva lentamente e sembrava darmi tutto il tempo necessario per acciuffarla.

Stavo quasi per scattare e catturarla, quando le siepi dietro le quali mi nascondevo cominciarono a gridare.
“Traditrici!” pensai mentre il dissapore lavorava ai ferri la mia vis eroica.
L'Enorme Bestia si voltò con quei suoi occhi spaventati e non esitò a correre a tutta velocità. Ma io conosco i miei polli: il Sole non può andare più veloce d'un tot, sennò a Rimini si lamentano della stagione fiacca. E gli albergatori riminesi sono come tanti Attila che hanno imparato il galateo durante una gang-bang. Comprensivi come un uzi.

La preda era quindi davanti a me, il fedele retino la seguiva, immanente come una cazzo di luna in vena d'eclissi.

La presi. Con un movimento repentino estrassi dalla fondina il domopak e accartocciai il Sole in pochi minuti.

Tornai a casa felice. La gente si voltava e diceva “Guarda quello col Sole in mano”. Che ero esattamente io. Sorridevo a tutti loro, illuminandogli il viso e la vita, con quell'astro incandescente tra le mani.

Scottava, sì, ma bastava soffiarci sopra.

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